
San Giorgio e il Drago – Il capolavoro cavalleresco di Raffaello
San Giorgio e il drago (Raffaello Sanzio, 1506)
San Giorgio e il drago di Raffaello, una minuscola tavoletta a olio (28,5×21,5 cm), è uno dei capolavori più intensi della sua giovinezza. Il dipinto mostra una composizione verticale e dinamica: San Giorgio, vestito da cavaliere cristiano con armatura completa, è raffigurato a cavallo mentre pianta una lancia nel drago ai suoi piedi. Lo sguardo sereno e idealizzato del santo, il mantello celeste che svolazza dietro di lui e la diagonale della lancia creano una tensone equilibrata tra movimento e calma. La tavolozza è brillante: il cavallo è bianco dalla criniera argentea, il mantello di San Giorgio è di un luminoso blu cobalto, e ai piedi del cavaliere compare un drago dai colori accesi (pelle bruno-tawny e testa verde menta) con ali da pipistrello. Sullo sfondo, colline giallo paglierino punteggiate di pini verde scuro e due torri arancio ruggine risaltano contro un cielo azzurro chiaro. L’illuminazione è chiara e diffusa, evidenziando le superfici levigate delle figure e il brillante contrasto cromatico. La figura della principessa, protagonista secondaria, è inginocchiata a prega con le mani giunte; indossa un abito rosso rubino e un velo bianco trasparente, accentuando l’atmosfera di devozione gentile. Infine, preziosi dettagli sottolineano il simbolismo: sul polpaccio di San Giorgio è legata una fascia indaco e oro recante l’iscrizione «HONI» (motto dell’Ordine della Giarrettiera), e al collare del cavallo è dipinto in oro il nome «RAPHELLO», una firma figurativa del pittore. In sintesi, l’opera fonde un’elegante armonia geometrica con vivacità di colore e ricchezza di particolari simbolici, incarnando l’ideale rinascimentale di grazia formale.
Contesto storico e iconografico
San Giorgio, guerriero romano convertito al Cristianesimo e patrono della cavalleria, sconfigge il drago secondo una leggenda medievale: salvata una principessa minacciata dalla bestia, la sua vittoria porta alla conversione del re pagano e del suo popolo. Questa narrazione, combattimento del male e vittoria della fede, spiega la scelta del tema come occasione celebrativa. La tavoletta fu infatti realizzata all’epoca in cui Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino (protettore giovanile di Raffaello), era stato nominato cavaliere dell’Ordine della Giarrettiera da Enrico VII d’Inghilterra nel 1504. Il dipinto richiama chiaramente questo avvenimento: lo scudiero indossa la fascia blu-oro della Giarrettiera con la scritta «HONI» (abbreviazione di Honi soit qui mal y pense, motto dell’Ordine). Recenti studi dimostrano che il pannello fu destinato all’ambasciatore inglese Gilbert Talbot, emissario del re, anziché direttamente a Enrico VII. In ogni caso, il soggetto di San Giorgio simboleggia la virtù cavalleresca e la protezione divina, ideale per celebrare un’iniziazione cavalleresca e dimostrare la prestigiosa cultura rinascimentale di Urbino.
Dal punto di vista stilistico, si riconosce nelle sue forme precoci l’influenza della scuola umbra di Pietro Perugino, prima maestranze di Raffaello, sia nel profilo perfetto del santo sia nei delicati panneggi e nell’equilibrio sereno della scena. Allo stesso tempo, il soggiorno fiorentino di Raffaello (dal 1504) apporta un dinamismo nuovo: lo stile leonardesco (all’epoca ancora vivo a Firenze) si esprime qui nel movimento vorticoso del cavallo e nei chiaroscuri che modulano il volume delle figure. In sintesi: pur se non mancano reminiscenze peruginesche (sguardi dolci, atteggiamenti composti), la composizione riflette già una tensione prospettica ed energetica di ascendenza leonardesca. Alcuni critici notano inoltre riferimenti classici nella posa statuaria di San Giorgio, che può riecheggiare il noto San Giorgio di Donatello conservato a Firenze (sottolineando la nobiltà eroica del soggetto). Insieme, questi elementi collocano l’opera all’incrocio delle tradizioni artistiche: umbra, fiorentina, classica, che Raffaello stava assimilando in quegli anni.
Storia dell’opera
Non si conosce con certezza il committente originale, ma è probabile che il dipinto sia stato ordinato dalla corte di Urbino per celebrare l’investitura del duca. La tavoletta, completata verso il 1505-1506, raggiunse comunque presto l’Inghilterra: entro il 1627 era in possesso di William Herbert, terzo conte di Pembroke, a Wilton House. Probabilmente uno dei fratelli Herbert la donò poi a re Carlo I d’Inghilterra negli anni ’30 del Seicento. Alla caduta del sovrano, la tela fu venduta nel 1651 all’asta pubblica del governo parlamentare. In seguito, giunse in Francia, divenendo parte della ricca collezione del mercante Pierre Crozat. Nel 1772, per intercessione di Denis Diderot, Caterina II di Russia acquistò l’intero fondo Crozat per l’Ermitage di San Pietroburgo. L’opera rimase esposta all’Ermitage fino al 1931, quando il governo sovietico mise in vendita molte sue opere d’arte per raccogliere valuta estera. In marzo 1931 la tavoletta fu acquistata dal consorzio di galleristi guidati da M. Knoedler e destinata all’industriale americano Andrew W. Mellon. Nell’ambito di quell’operazione, Mellon acquisì 21 dipinti per un totale di 6.654.000 dollari (una cifra eccezionale per l’epoca), fra cui capolavori di Van Eyck, Botticelli e Tiziano. Nel 1932 l’opera fu donata al Mellon Educational and Charitable Trust e, nel 1937, incluse nella collezione fondativa della National Gallery of Art di Washington. Così San Giorgio e il drago entrò a far parte del nucleo principale del museo, sancendo la nascita di una delle più prestigiose collezioni di pittura rinascimentale al mondo.
Confronto con la versione del Louvre
Raffaello realizzò due piccole versioni del soggetto di San Giorgio; quella descritta sopra (c.1505-06) si trova a Washington, mentre la versione più antica (c.1503-05) è conservata al Louvre di Parigi. In ambedue le composizioni la scena è simile: San Giorgio, in sella al cavallo che rearing, sta per infilzare il drago, e sullo sfondo apparisce una principessa. Tuttavia, la resa è differente. Nella tavoletta parigina la principessa appare quasi in fuga, con la figura sghemba e la lancia già spezzata al suolo (segni di un’azione ancora vivace), mentre nel quadro di Washington ella è ritratta inginocchiata in preghiera, suggerendo un momento di calma dopo il trionfo. Anche la resa cromatica varia: il Louvre tende a tonalità più smorzate e sfumate (tipiche di uno stile ancor più peruginesco), mentre Washington mostra contrasti più forti e luminosi. In entrambi i casi, tuttavia, l’ordine compositivo resta ravvisabile: le diagonali del cavallo e della lancia guidano lo sguardo, e le figure mantengono un effetto di calma solenne. Le due versioni sono concepite come dipinti «da cavalletto» di piccolo formato (perfino dotati di un retro con motivo a scacchiera, secondo la testimonianza di Lomazzo), destinati all’ammirazione ravvicinata. Nel complesso, il Washington e il Louvre vanno letti in dialogo: similitudine tematica e differenze stilistiche rivelano l’evoluzione artistica di Raffaello fra le sue prime prove e quelle leggermente successive.
Ricezione critica
Fin dal Cinquecento Raffaello è stato celebrato come maestro supremo di armonia e grazia. Pur se Vasari non descrive nel dettaglio questa piccola tavoletta, la menziona nel quadro generale della prodigiosa maturità giovanile dell’artista. Nei secoli successivi gli storici dell’arte hanno sempre riconosciuto in San Giorgio e il drago un testimone prezioso dello sviluppo stilistico raffaellesco. Bernard Berenson, ad esempio, nota la «deliziosa semplicità» del linguaggio giovanile di Raffaello, dove si combina la compostezza peruginesca con un nascente vigore leonardesco. Sir John Pope-Hennessy ha inserito questa opera tra le prove più pure di equilibrio rinascimentale, sottolineando come le figure idealizzate incarnino valori eterni. Più recentemente, David Alan Brown ha osservato come la tavoletta riesca a unire virtù eroiche e purezza di forme: la figura sicura di San Giorgio e la grazia silenziosa della principessa riflettono un ideale umanistico di bellezza e moralità (anticipando temi che Raffaello avrebbe approfondito nelle Madonne e nella Scuola di Atene). In sostanza, i critici concordano nel considerare l’opera come una sintesi simbolica di perfezione formale e nobiltà spirituale. I tratti chiaroscurali e la compostezza arcaizzante, ad esempio, sono stati interpretati come un tributo alla lezione di Leonardo e Perugino, già evidenti in questo dipinto. La presenza solenne degli elementi (halo aureolare, drago sconfitto, paesaggio armonioso) ha inoltre un forte valore allegorico che, secondo gli studiosi di alto rango, esprime un messaggio universale di vittoria del bene e della fede.
Conclusioni
La tavoletta San Giorgio e il drago emerge così come simbolo di grazia, forza morale e bellezza ideale. L’immagine del santo giovane ma sereno, l’eroismo pacato del gesto con cui sopraffà il male, la principessa che prega in contemplazione, tutto concorre a evocare un ideale universale di virtù. La purezza formale dell’opera, ottenuta con sottili sfumature di colore e un disegno perfettamente misurato, conferisce alla scena un’aura quasi metafisica. Sebbene contenuta in un piccolo formato, la potenza del dipinto è monumentale: in esso riecheggiano le aspirazioni più nobili dell’Umanesimo rinascimentale. Anche oggi, davanti a questo quadro, resta intatto il senso di armonia e sacra bellezza. San Giorgio e il drago parlano ancora all’animo umano: la sua forza equilibrata e il suo messaggio eterno di coraggio e grazia ispirano chi lo osserva, confermando il valore duraturo dell’ideale che rappresenta.
Fonti: testi della National Gallery of Art Washington artsandculture.google.com nga.govnga.gov e della storica dell’arte (analisi e pubblicazioni citate) thehistoryofart.org en.wikipedia.org en.wikipedia.org en.wikipedia.org en.wikipedia.org. Tra gli studiosi si ricordano Vasari (Vite), Bernard Berenson, John Pope-Hennessy e David Alan Brown, tutti concordi nel valorizzare la qualità formale e simbolica di questa opera.
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